Perché la creatività è importante a scuola e perché dobbiamo salvarla
“Ogni sistema educativo sulla terra possiede la stessa gerarchia in fatto di materie di studio”. Questo è ciò che Sir Ken Robison, educatore britannico, disse qualche anno fa durante un interessante TED Talk. Per capire il perché bisogna tornare all’Ottocento, quando venne realizzata una grandissima riforma del sistema educativo con l’obiettivo di dare una risposta alle esigenze della rivoluzione industriale.
Prima di allora infatti, non esisteva nulla di simile a ciò che oggi chiamiamo sistema scolastico nazionale o pubblico. Se vi siete mai chiesti perché a scuola siete stati costretti a studiare molta matematica e scienze, mentre arte e musica non erano previste, o le ore destinate a queste materie erano di molto inferiore di quelle riservate alle materie scientifiche, questa è la risposta: la rivoluzione industriale. La matematica gode di un più alto posto in classifica rispetto alla musica proprio perché era più adatta a rispondere alle necessità di una società industriale.
Tuttavia, in molti ormai si chiedono se questo sistema di classificazione del peso delle materie scolastiche e la loro spendibilità (un sostantivo odioso a mio avviso quando viene associato al mondo dell’educazione) sia ancora valido. In fondo la società odierna non si basa più sui ritmi del sistema industriale. Grazie alla rivoluzione tecnologica infatti oggi moltissimi professionisti hanno la possibilità di lavorare da remoto attraverso due semplici strumenti: il computer e la connessione ad internet. Inoltre, moltissime delle operazioni meccaniche un tempo compiute dall’essere umano oggi sono completamente automatizzate: pensate per esempio a quanto è cambiato il lavoro del commesso di banca dopo l’introduzione del bancomat. Dunque da questa prospettiva diventa facile notare perché un sistema educativo che tradizionalmente ci preparava a delle mansioni meccaniche oggi sia datato e obsoleto. Il futuro del lavoro necessiterà sempre di più di innovatori e di persone con altissimi livelli di intelligenza emotiva.
Per questo, ciò di cui abbiamo bisogno come società è una rivoluzione. In quel famoso TED Talk sull’istruzione, Sir Ken Robison suggerisce che riportare la creatività tra i banchi di scuola sia fondamentale in modo che bambini e studenti possano essere aiutati a scovare il loro talento o più talenti il prima possibile e imparare a coltivarli.
“Dobbiamo passare da un modello industriale dell’educazione, un modello di produzione, che è basato sulla linearità sul conformismo e sulla segmentazione delle persone […] ad un modello basato più sui principi dell’agricoltura. Dobbiamo riconoscere che la crescita dell’essere umano non è un processo meccanico, è un processo organico. E non si può predire il risultato finale dello sviluppo umano; tutto quel che possiamo fare, come un agricoltore, è creare le condizioni entro le quali cominceranno a crescere e svilupparsi.”
Questa questione non è assolutamente nuova, anzi è stata parte del discorso sull’istruzione dalla nascita del sistema educativo pubblico. Charles Dickens pubblicò un romanzo nel 1854, nel bel mezzo della rivoluzione industriale e precisamente nella sua culla, l’Inghilterra, nello stesso tempo e nello stesso luogo dove il sistema di educazione scolastica su modello meccanico veniva messo in piedi. Il titolo di quel romanzo, Tempi Difficili, intendeva proprio questo: tempi duri all’orizzonte. Il momento storico in cui Dickens visse fu un periodo difficilissimo per il sano sviluppo di bambini ed adolescenti. A quel tempo, creatività ed immaginazione erano totalmente tagliate fuori dall’educazione, dall’istruzione e dallo sviluppo individuale. E Dickens l’aveva intuito e aveva previsto i danni che tale sistema avrebbe prodotto sul futuro comune e personale di coloro che gli vivevano intorno. Per questo scrisse che se “Voi economisti della scuola utilitaristica, larve di insegnanti, grandi commissari dei fatti […]” non vi renderete conto dell’importanza di coltivare l’immaginazione e la creatività, “la Realtà prenderà l’aspetto avido del lupo e per voi sarà la fine.”
Novità a scuola
Tutti coloro che hanno figli che vanno a scuola, sono insegnanti essi stessi o si stanno preparando per diventare insegnanti sanno che la scuola è un po’ cambiata rispetto al passato, rispetto a quello che è stato detto finora. Ad esempio oggi i programmi ministeriali, da seguire pedissequamente, non esistono più. Spero che agli studenti dei licei siano quindi risparmiate le 30 ore di lezione su Hegel e le varie Scuole Hegeliane che io e i miei compagni ci siamo dovuti sorbire al liceo, lezioni impartite con un metodo il cui unico stimolo prodotto in noi era quello del sonno. Oggi al contrario, esistono una serie di linee guida e di indicazioni nazionali, sviluppate per obiettivi e competenze, strutturate in maniera molto diversa rispetto ai vecchi programmi del ministero.
Inoltre, oggi gli insegnanti sono spronati a riflettere sul metodo didattico da utilizzare in base alle attività che si propongono in classe, le quali, si suggerisce, debbano essere variegate e sviluppare non solo conoscenze e abilità, ma anche competenze. La conseguenza logica è che la classica lezione ex cathedra non può essere l’unica pratica didattica portata avanti in classe ogni giorno.
E ancora, negli ultimi anni la psicologia cognitiva e dello sviluppo e le neuroscienze ci hanno detto che il cervello non termina di svilupparsi con l’ingresso dell’essere umano nella maggiore età, ma prosegue per tutta la vita. Questo significa che il cervello degli adolescenti in quel periodo non sta raggiungendo il termine della sua evoluzione, ma al contrario sta subendo un boom di materia grigia, un’eccedenza di sinapsi che poi con il tempo andranno a stabilizzarsi, ma che rendono incredibilmente ricca l’esperienza educativa e sociale delle persone adolescenti: il momento migliore per espandere la loro creatività ed immaginazione.
In questo, le cosiddette materie umanistiche e soprattutto chi le insegna possono fare davvero tanto. Insegnare una lingua straniera, la letteratura, la filosofia, la storia in maniera arida, sterile e noiosa non fa emergere creatività e immaginazione. I bambini e gli adolescenti vanno “agganciati”, è necessario trovare il punto in cui la nostra visione del mondo di adulti, sfumata e mediata, si incontri con la loro visione del mondo, piena di ideali ed emozioni spesso tra loro inconciliabili. È necessario dunque trovare quel punto di collegamento per riuscire a comunicare con loro, e il modo migliore per farlo è imparare a conoscere chi ci troviamo davanti: per farlo bisogna imparare ad ascoltarli e ricordarci tutti, noi adulti che gravitiamo attorno a questo potenziale enorme, che i bambini e gli adolescenti sono appunto un potenziale e non un gruppo di persone da gestire più o meno bene per riuscire ad andare a dormire senza mal di testa.
Non è fondamentale solo cosa si insegna: le conoscenze e le competenze che saranno utili per i giovani per entrare nel mondo del lavoro e della società sono fondamentali, ma lo sono anche il metodo utilizzato e il rapporto che gli adulti instaurano con loro. Non solo dunque creatività ed immaginazione, non solo “un modello basato sui principi dell’agricoltura”, ma anche una relazione genuina tra adulti e giovani, una volontà di conoscerli, di ascoltarli e capirli.
Le disuguaglianze che lacerano l’Occidente, la povertà non solo finanziaria ma anche culturale, l’odio e il razzismo si combattono soprattutto a scuola. Dimentichiamoci allora della divisione netta tra adulto e giovane, due età della vita che a volte sembrano completamente separate, e cominciamo a “vederli” davvero questi giovani, ad interessarci seriamente a loro, ad ascoltare le loro opinioni e le loro idee, e a riconoscere il loro enorme potenziale. In fondo, come diceva il poeta William Wordsworth: “Il bambino è padre dell’uomo”.
Giorgia Damiani