Thomas Keneally – Il canto di Jimmie Blacksmith

Il canto di Jimmie Blacksmith Thomas Kennealy ViceVersa Copertina Libro di Guido Capoferri

Romanzo del 1972, Il canto di Jimmie Blacksmith viene ora riscoperto in tutta la sua forza

Probabilmente chi conosce Thomas Keneally penserà subito a La lista di Schindler. Vice Versa Publishing invece ci porta indietro nel tempo, nel 1972, e ripropone questo racconto lungo, in uscita l’undici dicembre, Il canto di Jimmie Blacksmith – finalista al Booker Prize – che narra l’avventura e la tragedia di un aborigeno.

Siamo in Australia, poco prima che diventasse una federazione, quando ancora la vita era dura e ogni giorno rischiava di essere l’ultimo. Naturalmente il popolo Aborigeno, millenario, era già stato sottomesso, obbligato ad una conversione religiosa e/o rinchiuso in riserve, distrutti dall’alcol, dagli abusi e dalla prostituzione.

Jimmie è diverso. Jimmie è mezzosangue, è intelligente, è ambizioso. Jimmie vuole fare carriera, possedere un pezzo di terra, sposare una donna bianca. E per un breve periodo sembra farcela, sembra che il destino sia dalla sua parte. Finché tutto precipita, per una congiunzione di razzismo, violenza e tradizioni.

Thomas Keneally non giudica mai, il suo sguardo è impassibile e veritiero. Lo stile asciutto non scade mai nel banale e nell’abuso, nemmeno nelle scene più violente e sanguinolenti. L’autore ci mostra cosa possono fare le convenzioni, le convinzioni e il razzismo alla mente e al cuore di un uomo.

Il canto di Jimmie Blacksmith è rabbioso ma non cieco e di certo Keneally non prende una posizione di potere sugli aborigeni, ma vuole dar voce e mettersi nei panni di chi è stato sfruttato e dimenticato.

Un romanzo ancora utile, per capire le ragioni e la rabbia degli oppressi, e per mai dimenticare i soprusi del colonialismo.

Illustrazione di copertina di Guido Capoferri

Stefania Grosso