In Another Country, Baldwin si chiede se siamo un paese straniero per gli altri e per noi stessi
James Baldwin, nato a New York nel 1924, pubblicò nel 1962 Another Country, in italiano tradotto con Un altro mondo e pubblicato da Fandango Libri.
È la storia di Rufus, batterista nero di Harlem, e della sorella Ida, aspirante cantante, di Vivaldo, il cui primo romanzo fatica a vedere la luce. È anche la storia di Cass, sposata con Richard, lo scrittore che a quarant’anni ha appena pubblicato il suo primo romanzo che non è certo un capolavoro ma che vende bene. Cass, il cui vero nome è Clarissa e che ripercorre alcuni momenti della narrazione di Mrs Dalloway, è sveglia e brillante, ma la sua vita ruota attorno alla casa, ai due figli e soprattutto al marito. E poi c’è Eric, l’attore che cerca di sfondare nel mondo del cinema e del teatro.
Il romanzo segue le vicende di questi sei personaggi, tra i quali non si intravede un vero protagonista, ma le cui vite hanno tutte lo stesso spessore e sono tutte legate le une alle altre. Leggendo delle loro sofferenze, amori, gioie e dolori, mi è venuto in mente un verso di una canzone dei 99 Posse in cui dice: “Ma la tranquillità tanta cura per trovarla / Sì la stabilità un onesto stare a galla / È di una fragilità […]”. Quella stabilità e tranquillità, quell’onesto stare a galla li cercano disperatamente anche questi sei personaggi, in una corsa che non finisce mai.
Gli ostacoli a questa stabilità sono davvero tanti nella New York delineata in maniera precisissima da Baldwin. Il colore della pelle di Ida e dunque le discriminazioni che subisce: l’essere donna nera nubile equivale ad essere per forza una “puttana” agli occhi dei bianchi e una traditrice che ha scelto di stare con il nemico per i neri, quando Ida comincia una relazione con Vivaldo. La forza e il soggiogamento che impongono gli uomini alle donne loro compagne e mogli, come accade a Leona, la ragazza bianca del Sud picchiata brutalmente da Rufus a causa della sua gelosia, e come accade a Cass quando Richard diventa famoso e smette di considerarla come una persona, ma come un mero accessorio e che, quando la moglie si ribella a quella situazione, anche lui la picchia perché lei è sua. E ci sono anche i sospetti della polizia nei confronti dei neri e l’incapacità dei bianchi, in questo caso di Vivaldo, di capire le sofferenze e il disagio dei neri di muoversi in una realtà fatta a misura di pelli bianche. Infine, l’omosessualità di un ragazzo bianco dell’Alabama, Eric, che scappa prima a New York e poi a Parigi per dare sollievo ai dolori della sua adolescenza e per capire che non è sbagliato quello che ha sempre percepito nel suo cuore.
I temi esplorati in Another Country, attraverso un linguaggio che diventa quasi poetico, non sono solo un modo per Baldwin per dipingere la società e la realtà newyorkese della fine degli anni ‘50, ma sono uno specchio sul quale si riflette il mondo occidentale, passato e presente. Leggere Another Country nel 2021 è come guardarsi in faccia, guardare in faccia al razzismo, all’omofobia, alla misoginia e all’odio strisciante e dilagante che percorre ancora oggi le strade, le piazze e i vicoli di città, paesi, borghi del mondo occidentale. L’altro paese, l’altro mondo del titolo del romanzo di Baldwin, è la frattura che si crea tra Manhattan e Harlem, tra bianchi e neri, tra uomini e donne: mondi diversi che rimangono separati, che pur cercando disperatamente di entrare in contatto gli uni con gli altri per trovare un po’ di sollievo, in qualche modo, rimangono spesso separati, faticando continuamente a trovare sé stessi.
Giorgia Damiani