Come riformare la scuola? E perché va riformata? Per una diversa idea di scuola, il saggio di Barbara Zanotti
Scuola. La parola stessa è familiare, evoca ricordi più o meno prossimi, riporta alla mente emozioni ed esperienze conosciute da tutti noi. Nel passato come alunni, nel presente come lavoratori o fruitori, attraverso i figli come proiezione nel futuro, la scuola è pressoché presente nella storia personale e nella vita di ognuno.
Malgrado la sua diffusione e il grado di pervasività nella nostra esistenza, non è tuttavia una realtà molto conosciuta e facilmente indagabile. La sua struttura è articolata e complessa, si rivolge a tipologie umane molto diverse per età e condizione intellettiva e culturale, e si avvale dell’operato di persone differenti tra loro, un gruppo eterogeneo di educatori e dispensatori di cultura, di sapere, ma anche di modalità attraverso le quali apprendere. Un aspetto essenziale di quanto la scuola dovrebbe considerare importante è ciò che accomuna o dovrebbe accomunare gli interventi educativi. Si va a scuola per imparare, per stare insieme, per stare bene insieme, per imparare a stare bene insieme, per crescere. Nella parola crescita vi è indiscutibilmente una accezione di progresso positivo, di miglioramento sereno e consapevole, attivo nel processo educativo. Questa crescita riguarda i bimbi più piccoli, ma anche i critici del proprio processo educativo, che vogliono giustamente giocare una parte attiva, cioè gli adolescenti e i ragazzi.
Non si può negare un’ovvietà: le domande filosofiche, i perché sulla scuola, sulla sua missione, sulla sua esistenza stessa si sono riproposti in modo dapprima silenzioso e poi deflagrante, proprio in questo periodo. Il bambino è nella scuola protetto e garantito, accudito per soddisfarne i bisogni primari e accompagnato nel percorso di crescita, sviluppo culturale e sociale. Ridurre però la visione della scuola ad una mera struttura di assistenza non può che svilire e depotenziare il compito, che ogni giorno ogni insegnante ha la consapevolezza di dover attuare. La realtà scolastica è da considerare in modo molteplice, se ad un livello base la scuola è un servizio essenziale, e abbiamo ben compreso quale sia la sua importanza, non si può prescindere dal considerarla anche e soprattutto, ad un livello superiore, luogo di cultura e di crescita emotiva e sociale, finanche etica.
A mio parere si dovrebbe riconsiderare la scuola, e soprattutto le scuole dell’Infanzia e Primaria, che non sono solo il luogo dell’imparare e dello stare insieme, ma anche l’ambiente nel quale si creano le basi degli apprendimenti futuri. Utilizzando proprio la dimensione sociale e di gruppo tipica di questi ordini di scuola, in opposizione all’individualismo educativo tipico della Secondaria, sarebbe opportuno far comprendere la profonda importanza dello stare insieme, imparando. Attraverso un obiettivo comune si può quindi far riflettere anche i bimbi più piccoli, sul beneficio di un ambiente in cui lo stare bene insieme è imparare bene insieme. Se ciò si verificasse appieno, proprio i bambini sarebbero i primi portavoce di un processo educativo che si attua grazie al rispetto reciproco, all’entusiasmo condiviso, all’emozione del fare. Di conseguenza i fruitori di un rinnovato processo educativo dimostrerebbero che a scuola si sta perché si sceglie di stare, e proprio in questo luogo ognuno attua, più o meno consapevolmente, la propria crescita educativa ed umana.
Dimenticare questi aspetti e ridurre la scuola ad un servizio essenziale e pratico, ma non considerarla struttura vitale per il benessere intellettivo, equivale a stravolgerne l’identità e il fine ultimo, vanificando gli sforzi della ricerca di una didattica attiva e coinvolgente, ricca di significati e intenti educativi. La scuola, nella professionalità degli insegnanti, storicamente attrae in modo più o meno invasivo, esperti, guru della didattica, legislatori presumibilmente illuminati, che a intervalli regolari annunciano soluzioni ritenute miracolose, per risollevare questa Istituzione, che viene in modo quanto mai irritante, considerata in crisi, fin dall’inizio della sua esistenza. Ritengo che un sistema così complesso, debba riuscire a convergere al più presto su temi condivisi, trovando la ragione di esistere nell’educare, semplicemente.
Spesso mi ispiro alla figura della filosofa e pensatrice Simone Weil, che nell’attività di insegnante individuò tre fasi imprescindibili. Per prima favorire l’attenzione, il cui raggiungimento non è finalizzato al mero svolgimento di un esercizio, ma allo sviluppo di una facoltà utile in qualsiasi contesto. Altra fase, la motivazione, cioè essere parte attiva del processo educativo, e per ultima, l’acquisizione del gusto per la bellezza, che per gli italiani dovrebbe forse stare al primo posto. Una ricetta pedagogico-filosofica per una scuola oggettivamente migliorabile, ma inderogabilmente migliorativa.
Per concludere, forse la scuola tutta dovrebbe ispirarsi al pedagogista e psicologo, Jean Piaget, per fare proprio quel processo educativo di assimilazione e accomodamento, che avviene persino nelle cellule e nei processi neuronali. Piaget, essendo anche un biologo, teorizzò che il processo di apprendimento funziona come quello biologico, che riguarda in primis le singole cellule. Ad ogni stimolo esterno, una cellula reagisce, rende proprio lo stimolo e si adatta per migliorare la propria esistenza. Così la mente del bambino, di fronte ad uno stimolo educativo nuovo, si adegua alla situazione e nel tentativo di conoscerla e di farla propria, la assimila, adattando a sé la nuova conoscenza.
In ambito educativo e scolastico, l’assimilazione e l’accomodamento spesso si basano su processi simili, per cui l’apprendimento favorisce l’acquisizione di nuove conoscenze o abilità, integrandole ad apprendimenti già avvenuti in precedenza. Piaget sosteneva inoltre che ogni bambino deve essere posto nelle condizioni migliori, educative ed ambientali, poiché ciò crea la premessa ideale per favorire il processo educativo.
La scuola ha in sé le potenzialità e le risorse, nonché le conoscenze, per riuscire ad attuare i cambiamenti necessari, pur rimanendo ben radicata, come risorsa insostituibile, nella società. Sarebbe auspicabile un’operazione di coraggioso riscatto di ispirazione gattopardiana.
Con un gesto di apertura al nuovo e al cambiamento, con la forza della motivazione, imparando a consolidare apprendimenti, che migliorino l’educazione e la percezione di sé, con uno sguardo a Piaget ed un altro a temi letterari eternamente validi, la scuola potrà proseguire con rinnovata forza verso mete future, che si basano su valori sempre attuali.
Barbara Zanotti
Illustrazione di copertina di Federico Lazzari