Prima parte di un nuovo racconto pulp, tra sangue e amore, di Giovanni Cugliari
Me ne stavo lì, inchiodato sulla soglia, a costringermi a guardarla.
Indossava un lungo vestito nero che le modellava il seno e i glutei. I suoi occhi, orlati da un trucco scuro scintillavano al centro della luce proveniente dal lampadario di cristallo che aveva ereditato da sua madre. Era la creatura più bella su cui avessi posato lo sguardo.
Un piatto solo, con quattro portate spalmate lì come se fossero state servite da un ristorante giapponese.
Mi lanciò un’occhiata e sposto indietro la sedia per sedersi.
̶ Vuoi favorire?
Feci segno di no con la testa.
Si sistemò il tovagliolo sulle gambe, afferrò le posate e cominciò a sminuzzare la carne.
Poi spalancò la bocca; tutti i denti le si affilarono, bianchi e lucenti come fossero stati smacchiati con la candeggina.
Era più di un’ora che l’aspettavo. Mi affacciai dalla finestra della camera da letto di Dalia mentre buttavo giù una corona col limone.
Dalia faceva da testimonial per aziende che producevano accessori gothic metal: borse con borchie, abiti in pelle, zainetti, anfibi, collarini, bracciali, orologi. Sentii girare la chiave nella fessura della porta.
Attraversai di corsa la stanza e mi affacciai.
̶ Ehi! – esclamai. Giulia, la sorella di Dalia, entrò con una pila di fogli tra le mani.
̶ Ah sei tu. ̶ dissi. Feci un altro sorso dalla bottiglia. ̶ Sei ancora dietro sti sfigatelli?
̶ Potrebbero avere un futuro un giorno ̶ disse Giulia cercando di non far cadere niente.
Giulia impartiva ripetizioni di matematica e italiano a qualche studente delle elementari.
Parcheggiò i fogli sopra la mensola in camera sua e mi chiese se volessi un caffè.
̶ No grazie. ̶ risposi. ̶ Sto aspettando tua sorella.
̶ Non avevo dubbi. ̶ commentò lei.
̶ L’hai sentita?
̶ No e non intendo farlo. ̶ mi disse andando in bagno. Ci doveva andare minimo due volte al giorno solo per rifarsi il trucco. Le colava dal viso, tanto la sua pelle era grassa. Le premeva di non somigliare ad una statua di cera che si scioglieva sotto il sole.
̶ Non capisco perché continui ad aspettarla quando va ai servizi fotografici. ̶ disse uscendo dal bagno. ̶ Quando ci sono di mezzo soldi e set fotografici non esiste nient’altro per lei.
Guardai l’orologio, inspirai e tornai davanti alla finestra a scrutare quelli che percorrevano il vialetto per arrivare fino al cimitero. Mancava una settimana alla festa di Ognissanti.
̶ Chissà cos’è successo sta volta ̶ borbottai tra me e me. ̶ Ogni volta che è al lavoro glie ne succede sempre una.
Giulia mi tocco una spalla.
̶ Vuoi? ̶ mi allungò un vassoio di biscotti ricoperti di zucchero.
̶ No, grazie. ̶ Feci segno con la mano di allontanarsi.
̶ Se non mangi deperisci lo sai vero?
̶ Guarda che io mangio.
̶ Si ma ti fai sempre pregare!
Non le risposi.
̶ Dai su prendine almeno uno. Li ho fatti io. ̶ insistette mostrandomi di nuovo il vassoio.
̶ Va bene ma solo uno. ̶ Allungai la mano e afferrai il più piccolo.
Lo masticai e tornai a guardare fuori.
̶ Com’è?
̶ Come quello che mi hai fatto mangiare ieri.
Lei mi guardo senza dire nulla. Dopo qualche secondo ruppe il silenzio.
̶ Senti dobbiamo parlare.
Spalancai le mani.
In quel momento la serratura della porta d’ingresso scattò.
Qualche secondo dopo Dalia apparve in tutto il suo fascino, gli occhi nascosti da un paio di occhiali giganti neri e un abito di pelle color carne che le fasciava il corpo scolpito.
̶ Stavi dicendo qualcosa? ̶ domandò con una punta di gelosia nel suo tono di voce.
̶ No, niente. ̶ rispose Giulia.
̶ Ma come? Non volevi dirmi una cosa importante? ̶ intervenni.
̶ No, un altro momento.
Dalia scaricò tutta la sua roba sul divano, poi incalzò : ̶ Di sicuro non hai trovato lavoro scommetto.
̶ Sto distribuendo curriculum dappertutto. Lo sai che per noi insegnanti…
̶ La verità sai qual è? Non hai la stoffa.
̶ Vabbè non è che sono tutte come te che si accontentano di fare due foto e uscire su una copertina.
̶ Tanto non te lo potresti permettere.
̶ Com’è mai ci hai messo così tanto a tornare?
Dalia si tolse gli occhiali.
̶ Le vedi queste? ̶ Indicò le rughe sotto le palpebre. Erano molto profonde simili a quelle di una donna di ottant’anni. ̶ Pensi che potrei sponsorizzare un prodotto con questi solchi sotto gli occhi?
̶ Dalia…io…
̶ Lo sai cosa devi fare vero?
̶ Ti ho portato l’ultimo tre settimane fa. ̶ le feci allargando le braccia ̶ Non credi di stare esagerando?
̶ Ti sembra che io stia esagerando?
̶ E riguardo a noi? Non mi avevi promesso che saremmo stati assieme questo pomeriggio.
̶ Prima le cose importanti.
̶ Questo è volergli bene? ̶ si intromise Giulia. ̶ Costringendolo a cacciare per tuo conto?
̶ Ti ho chiesto di parlare?
A Giulia le squillò il telefono. Si voltò e andò in camera sua a rispondere.
̶ Prima o poi crescerà ̶ commentò Dalia.
Il mattino seguente attraversai il paese con la mia Fiat Punto dando un’occhiata vicino all’ospedale, ai supermercati o ai bar scadenti. Le nostre vittime erano gli accattoni, i senza tetto, i barboni, tutta gente che non era sulla lista delle persone che avrebbero sollevato un caso in città.
Mentre salii gli ultimi gradini delle scale che portavano al cimitero incrociai una donna. Una frangia di capelli le copriva la fronte donandole un aspetto aggressivo. Il sole non scoprì nessuna imperfezione sul suo viso quando gli batté contro. Ai lobi delle orecchie pendevano due orecchini pieni di pietre che avevo visto in una pubblicità alla televisione. Indossava una gonna nera e un paio di tacchi sobri, ma di classe. La slanciavano e le imperlavano le gambe abbronzate e liscie.
Il vecchio inclinò la testa, la fissò sotto la sottana e le fischiò dietro.
Lei si voltò seccata, poi nel rigirarsi per guardare dove metteva i piedi mi sbatté addosso.
̶ Guardi dove vai? ̶ mi aggredì.
̶ Scusi signorina, non…
̶ Levati va!
̶ Prego, prego. ̶ Mi spostai e la feci passare.
ll vecchio mi studiò. Mi avvicinai mostrando un sorriso gentile.
̶ Dicono che pioverà ̶ Sollevai gli occhi verso il cielo. ̶ Si bagnerà tutto quanto se sta qui.
̶ Ci conosciamo ragazzo? ̶ mi domandò lui mettendomi a fuoco.
Allungai la mano per presentarmi. ̶ Piacere Patrick.
̶ Hai letto il cartello Patrick?
A fianco il vecchio teneva un cartello che recitava così: “ Se io non fossi sicuro che anche tu possiedi una coscienza non starei qui chiedendoti aiuto”.
̶ Si ed è per quello che le sto dicendo di trovare un riparo prima che venga giù il finimondo. Sarà stanco di starsene qua seduto ad aspettare che qualcuno si accorga che anche lei è un essere umano. ̶ Indicai il cappello quasi vuoto appoggiato per terra. ̶ Venga a prendere un caffè con me.
̶ Preferisco immaginare tua madre nuda che balla sotto la pioggia.
̶ Cosa c’entra mia madre?
̶ Non lo so ma parlano spesso di lei in giro!
̶ Nessuno parla di mia madre! Mia madre è morta.
̶ Ci credo! insisté il vecchio. ̶ A forza di menare l’uccello a tutti. Agli uomini non piace condividere le proprie donne.
̶ Lei è pazzo vero?
̶ E tu sei gay vero?
̶ Come?
̶ Non c’è niente di male sai, ma non sei il mio tipo.
̶ Cercavo solo di essere gentile. È lei, che invita gli altri a mettersi una mano sulla coscienza o sbaglio?
̶ Coscienza è sinonimo di portafoglio bello.
̶ Si ma sarà affamato! – insistetti. Era la preda perfetta per lo stomaco di Dalia.
̶ Vuoi portarmi a cena?
̶ Sto solo cercando di fare amicizia. Non ho pregiudizi verso i… ̶ balbettai per qualche secondo.
̶ I barboni? ̶ mi suggerì lui.
Uno sbuffo di vento gli fece ondeggiare i capelli grigi. Sollevò lo sguardo versò il cielo, convincendosi che stesse davvero per piovere.
̶ Senti non mi interessa chi sei o cosa fai . ̶ Si drizzò in piedi. ̶ Ho finito il whisky. Perché non mi porti a farmi un goccetto eh?
Rimasi impietrito dal suo improvviso cambio di umore.
̶ Allora? ̶ attaccò di nuovo sbattendosi i pantaloni sporchi di polvere. ̶ Dove sta il tuo bolide?
̶ Lì. ̶ Indicai la macchina con il dito.
̶ C’è l’hai una sigaretta?
̶ Non fumo
̶ Dovresti iniziare.
̶ Perché?
̶ Perché così te ne posso scroccare un paio.
Ci sedemmo al bancone del bar e ordinammo un caffè per me e whisky con ghiaccio per lui. Il vecchio si sporse con la testa oltre il bancone per sbirciare il fondoschiena della cameriera mentre andava a preparare quello che gli avevamo chiesto.
̶ C’è l’hai un nome o devo inventarmene uno? ̶ gli domandai.
̶ Mi chiamo Walter Raboni, ma i miei amici mi chiamano Walt. ̶ Si guardò le ginocchia e si pulì di nuovo i pantaloni.
̶ Ok Walt.
̶ Ho detto per gli amici. ̶ mi corresse lui.
̶ Pensavo di essere anche io un tuo amico.
̶ C’è l’hai una sigaretta?
̶ Ti ho detto che non fumo.
̶ Allora non sei mio amico.
Annuii assecondandolo. La cameriera ci servì il caffè e il whisky con ghiaccio.
̶ Tratti sempre così le persone che cercano di aiutarti?
̶ Per te sto facendo un eccezione. ̶ S’ingollo il whisky tutto d’un fiato e poi aggiunse: ̶ La frequenti la caffetteria Master?
̶ No. Perché?
̶ Vieni, ti faccio conoscere un paio di ragazze.
Vanni Cugliari nasce il 19 settembre del 1990. Deve il suo nome d’arte, diminutivo di Giovanni, al padre che per richiamarlo alla sua attenzione era solito urlargli: “Vanniiiiiii!”
In realtà il padre lo chiamava spesso anche Nanni, soprattutto quando si rivolgeva a lui con toni più amichevoli.
Dopo aver trascurato gli studi ed essersi diplomato con il minimo dei voti all’ITIS di Racconigi, a causa di una fortissima acne, che lo ammazzava emotivamente, incomincia a lavorare coltivando il sogno di farsi desiderare dalle ragazze nei locali notturni.
Una serie improvvisa di eventi negativi(donne, lavoro, conflitti sociali) lo fanno scivolare in un buco nero, dal quale riuscirà ad emergere, iniziando a leggere e accarezzando l’idea di diventare uno scrittore.
Non perde occasione di ammettere che a salvargli la vita è stato il vecchio Hank, meglio conosciuto come Charles Bukowski.
Le letture del vecchio sporcaccione lo aiutano ad accettare i momenti bui e tristi oltre che a passargli più di uno strumento, come sostiene l’autore, sul mestiere di scrivere.
Non si risparmia quando deve andare contro corrente.
Pochi giorni fa è stato sospeso dall’incarico di Cronista per Sprint e Sport. Lui presume che il motivo sia stato affermare su Facebook, dopo l’ultima partita prima che sospendessero i campionati dei dilettanti, che sperava di aver contratto il Covid per avere una scusa valida per non battere la cronaca dell’ultima partita.