Theresia Enzensberger – Blueprint

Theresia Enzensberger - Blueprint

Cosa succede quando il campus di un campus novel è quello del Bauhaus tra Weimar e Dessau? Lo racconta Blueprint di Theresia Enzensberger

Ho scoperto Blueprint quando stavo facendo ricerca per questa lista di romanzi legati all’architettura e agli spazi urbani che abitiamo. La traduzione italiana è pubblicata da Guanda, con il titolo, La ragazza del Bauhaus, ma si fa molta fatica a trovarlo, quindi l’ho letto nella traduzione inglese, pubblicata da Dialogue Books.

Blueprint rientra nel genere del campus novel, ma a differenza della contemporaneità raccontata da Normal People di Sally Rooney oppure On Beauty di Zadie Smith, la storia di Luise è ambientata all’alba della seconda guerra mondiale, tra Weimar e Dessau, quando un gruppo di artisti fondò ciò che avrebbe rivoluzionato il mondo dell’arte e dell’architettura occidentale del ‘900: il movimento Bauhaus e la sua università.

Luise è una giovane donna piena di sogni che si trasferisce dalla animata Berlino, in cui vive con una famiglia molto tradizionale e un fratello sempre più votato al nazismo, a Weimar per studiare nella neonata Scuola Bauhaus, che si prefiggeva di combinare l’insegnamento di artigianato e belle arti, unendo visione artistica e produzione di massa. Il sogno di Luise è quello di diventare architetta per rivoluzionare lo spazio urbano e renderlo il più possibile vicino alle esigenze di chi lo vive.

Ma una volta entrata all’università, si accorge presto che la strada verso la sua carriera è lastricata di difficoltà. La prima è quella di stringere legami di amicizia veri e sinceri. La seconda è quella di scontrarsi costantemente con un mondo, quello dell’architettura come anche quello delle relazioni sentimentali, governato esclusivamente da uomini. Tra violenze, gaslighting e furti di idee ai suoi danni, Luise deve districarsi in una dimensione a volte difficile da leggere e da comprendere, altre difficile da sopportare.

Soprattutto, con Blueprint Theresia Enzensberger mette in luce i meccanismi subordinanti e svilenti nei confronti delle donne che una società patriarcale e androcentrica come quella della Germania dell’inizio del ‘900 metteva in atto anche negli ambienti considerati più avanguardistici e illuminati.

Ah no, scusate, non funzionava così solo agli anzi del secolo scorso… Esattamente 100 anni dopo siamo più o meno ancora allo stesso punto. Pensate solo ai bias che influenzano i social media e le intelligenze artificiali.

Anche per questo, una frase che pensa Luise verso la fine del libro oggi risuona ancora fortissimo dentro di noi:

“Our aim was to make buildings for the New Man, someone affected and shaped by the new forms around him. But how can we achieve this if new forms are being made by the same old people, with all their mistakes and flaws?”

Theresia Enzensberger sembra volerci dire: new avantgarde, same old crap.

Giorgia Damiani