A summer short story by Chantal Salvinelli
Ti ha chiuso la porta di legno verde col doppio scatto violento per superare il chiavistello arrugginito. Cammina a piedi nudi sulle mattonelle sbeccate. Gli fanno fresco. Presto si rinfila solo i pantaloni larghi di cotone. Compare sporco di terra in viso perché ha messo in atto il suo baratto a largo raggio, riuscendo a ricavare, da un solo vecchio pomodoro dell’orticello abbandonato, due barattoli di melanzane sotto aceto, due di sugo piccante, due marmellate di susine bianche.
Scompare nella cucina di sotto. Armeggia col tuo vecchio forno, ti rovista in pancia, stappa, pulisce, rimesta le vecchie polveri, rimette in moto la pietra focaia, e più tardi anche l’antichissima macina. Riemergerà dal fondo del forno con in mano una focaccia, con le verdure sott’olio e i semi di pomodoro su un fazzoletto bagnato. Fuori la finestrella interna, poco sporca di salsedine, rifioriscono in pochi giorni i lunghi fusti dei pomodori, e i frutti rossi e gravidi si intravedono come baci sparsi. Fa crescere le olive nell’uliveto sulla collinetta, le melanzane e le zucchine nel quadrato di terra e presto farà anche lui le verdure annegate. La macina e il forno gli forniscono il pane per venderlo ai contadini, il giardino le verdure per comprare ami e lenze. Quella sera, dritto sul grande terrazzo sul mare, di fronte al braciere, dà un occhio alla profonda ma piccola baia che ti copre i piedi.
Scaleremo quella pietra a mani nude per creare il porto della città.
Facciamo molti pasti nel silenzio della tua estate immota, prima di quell’approdo. Il giardino interno entra verdissimo dalle finestre interne. Adesso ci sono cani e cavalli. La strada dalla collina dell’uliveto in basso ha ora piccoli insediamenti di contadini e pescatori. Ho creato le ceramiche che scelgo ogni mattina per mangiare. Ci piace vederle accatastate sulla mensola vuota, sul muro chiaro. Bucare l’argilla col pollice e carezzarla con l’acqua, lasciarla asciugare nella sala del forno, poi dipingerla, poi cuocerla dentro. Ho soffiato il vetro delle nostre brocche, alcune verdi bollose, altre bianche e lunghe. I vasetti sono sempre pieni di erbe aromatiche. I vasi panciuti pieni delle tue olive. Lui vorrebbe che ci fosse qui quel bambino, ma il pensiero lo sbocconcella tra un nocciolo e l’altro, e quello cade come un picciolo poi spolverato insieme alle briciole del pane.
Passiamo giorni interi nel bagno. Lui mi rade i peli e io gli trucco le labbra. Ci scambiamo i ruoli ogni giorno e li recuperiamo la notte. Ci curiamo le vesciche sulle mani a vicenda. Gli passo le pietre calde delle tue fondamenta sui muscoli dolenti. Più stiamo tra i vapori della grande vasca aperta sul mare, più la baia sotto s’allarga, si fa conca, promontorio, poi porto infine. Quando scaliamo in basso la scogliera, la civiltà ha raggiunto il suo apice. Pescatori, agricoltori e mercanti si sono allargati sulla costa che parte dalla casa al mare che fu dei nonni di mio padre, veri toscani senza sorriso. Passano oltre le finestre come le decine di amici di parenti che ti abitarono le estati. Ogni piccolo chiodo e asta mai riparati sono figli di intere generazioni. Alcuni libri che legge sono qui da sessanta secoli. Dal fondo della scogliera, lui osserva le grandi tende svolazzare dalla terrazza lasciata aperta, ti guarda imbronciato. Torniamo dentro. Vediamo gli omini muoversi veloci sotto il velo della scogliera, navigare lontano, conquistare.
Facciamo colazione con la focaccia alle olive, le briciole gli cadono sul cotone insieme al desiderio di quel bambino, che alle volte trotterella nella casa di un secolo avanti, le piante dei piedi sempre nere. I cagnolini gli salgono distrattamente sopra. Ha il rossetto sulle labbra e un po’ di blu sulle palpebre. Gli metto una corona d’oro sulla fronte. Io passo la mattina a leggere sdraiata sul pavimento fresco del terrazzo, col sale che offusca un po’ tutto. I vasetti e le ciotole, i piatti color verde salvia, con i puntini e le strisce bianche smaltate, i grandissimi taglieri di legno, le tende gonfissime inghiottono tutto e anche l’immagine della sua fronte coronata. Dopo il sonnellino sulle lenzuola, sempre odorose di crema solare e olive, mi dice di metterci un goccio d’arte. Dopo il bagno di vapore agli oli, quella sera, verso le prime ore dell’alba esco sulla terrazza e insieme facciamo meditazione. Lui guida i movimenti e io il respiro. Ha perso un po’ di liquidi, è lo stress, dice, che lo gonfia durante l’anno, ha un’ansia mai sopita di mettere su muscolo, di diventare grande, di non rompere il ciclo delirante dello sport. Se non altro non pensa al lavoro e non apre mai il computer.
La casa al mare è ora una biblioteca assediata e noi i custodi della bellezza e del tempo, e la civiltà ai nostri piedi si fa impero.
I miei disegni, i fogli scritti, i libri che ha letto, i vasi che abbiamo colorato, le porcellane piene di olive e erbe, tutto comincia a tremare quando la ribellione insorge. Non farsi vedere dai mercanti ha creato un mito religioso della biblioteca sul mare, con i suoi sacerdoti intoccabili all’interno. Lui ha finito di riassestarti il cardine della porta dello studiolo. Forse pensa di farci una stanzetta da neonato. Vede le tende farsi da gialle a rosse, enormi e gonfie di minaccia. Si gira verso di me e vede che sono scesa dalla piccola soffitta con le borse in mano. Quando ripongo le ciotole striate, il bel vassoio di vetro celeste, la piccola bottiglietta d’olio, le lenzuola nelle valigie, la corona d’oro si infrange in due e cade a terra. Fuori, l’impero è infuocato. E quando lui si rimette la camicia, mi guarda e dice:
-Sei pronta, allora? Chiudo tutto -.
L’ultima cosa che chiude è la porta verde col doppio scatto per superare il chiavistello arrugginito.
-Speriamo duri un’altra estate, questa porta – dice, prima di attraversare il piccolo orticello spoglio e addentarsi nella pineta assolata, piena di cicale e odorosa di mare. – Dovremmo fermarci al forno per tuo padre -.
Chantal Salvinelli, nata a Roma nel 1994. Laureata in Odontoiatria a La Sapienza, in realtà nutre un amore smisurato per la letteratura fin da sempre. Le piace pensare di muoversi in equilibrio tra la poesia e la scienza. Ha pubblicato su Quaerere, con cui attualmente collabora, e altre riviste letterarie online.