Un racconto di Marco Emilio Boga
Pavimenti in legno, scricchiolano. Porte in legno chiare. Colori pastello. Blu, azzurro, verde, giallo. Musica anni trenta in sottofondo. Sembra un film di Woody Allen.
Sono a cena da solo. Luce soffusa, calda. La cameriera mi chiede che vino voglio. “Vuole una bottiglia?” Una bottiglia? Sicuramente mi ha preso per un alcolizzato. Luogo silenzioso, normale in un giovedì qualsiasi.
Una vecchia appare dalla porta della sala. Si aggira con i capelli cotonati, biondi, tinti. Il trucco pesante, le sopracciglia ripassate con la matita nera, le palpebre azzurre, il rossetto rosso, intenso, sulle labbra. Si muove osservando tutto, facendo smorfie, si avvicina ad uno specchio e guardandosi aggrotta le sopracciglia.
Una coppia di amanti siede al tavolo accanto al suo. È la prima volta che vanno a cena, si guardano tremanti, iniziano a parlare del più e del meno. Lui mangia del pane per stemperare il momento. Lei si interrompe spesso, prende fiato.
Una giovane cameriera che si comporta in modo accondiscendente, ma il tono è scorbutico. Rivolge occhiatacce forse senza accorgersene. Forse è solo la sua faccia.
Perché racconto queste cose? Per rappresentare un momento conviviale, il superamento della solitudine? Osservando il protagonista della storia riesce a lasciarsi andare e cadere nella convivialità?
Da quel punto della sala, da quel tavolo da singolo, ho modo di vedere tutti. Vedo la gente passare per il corridoio. Osservo da un punto privilegiato il mondo.
“Cosa ci trovi di speciale?”
All’inizio sono nervoso. Solo. Accanto a sconosciuti. Sento storie, gente ridere. Sono lì, spettatore anche di me stesso.
Sensi. Profumi. Sapori.
Il tavolo sbiadito. Legno. Ricordi d’infanzia. Mio padre che mi porta in falegnameria. Sedie, una serie infinita di sedie. Il profumo del legno, dei trucioli sparsi ovunque per terra.
Tutto questo su un tavolo? Tutto questo dentro a un piatto?
Arrivano nuovi ospiti, senso di spaesamento, ritorno alla realtà. Di nuovo solo tra i tavoli. Racconti. Voci.
Le posate usate al tavolo mi destabilizzano. Quei rimasugli di nocciole miste a salsa al peperone che mi guardano. Perché? Capita spesso? Forchetta e coltello poggiano su una maniglia un tempo di un comodino. Perché quella maniglia è lì? Non è al suo posto. Nulla è dove dovrebbe stare.
Bagna càuda. Perché il fornelletto? L’aglio si insinuava in profondità, mista all’acciuga, facendomi sussultare. Ogni boccone un sussulto, per sprofondare nello sconforto. Il liquido bolliva, come brodo primordiale, circondato da un tripudio di verdure adoranti, pronte a rinascere da esso.
Poi i critici di vino. Ne vogliamo parlare? Seduti attorno un tavolo, amanti del Grignolino, per coerenza, prendono un Arneis. Un grissino si suicida.
Aglio. Troppo aglio. Il mio stomaco potrebbe fare come quel grissino. Potrebbe suicidarsi dicendomi ‘Sai che c’è? Mangia senza di me.’ E poi morire.
E mentre tutto questo accade c’è chi chiede del dolce. Del dolce!
Due ragazze si siedono al tavolo davanti a me. Una ha dei bellissimi ricci rossi. La pelle bianca. Indossa una camicia di jeans larga.
“Cosa ci trovi di speciale?”
Finisco per innamorarmi di lei, che non mi ama, perché ama la ragazza davanti a lei. Nascerà un’amicizia?
Aglio. Troppo aglio.
Movimenti. Una coppia, lui giovane, lei vecchia, seduti al tavolo oltre l’arco nell’altra sala. Si continuano a guardare. Sorridono. Lei ride alle battute di lui. Lui arrossisce ai complimenti di lei. Come si sono conosciuti? Perché stanno insieme? Perché le due ragazze sono lì? Perché stanno insieme?
Insieme. Tutto mi riporta a quella parola: insieme. Sono l’unico a essere solo.
Tutti escono. Esco anch’io insieme a loro.
“Cosa ci trovi di speciale?”
Aglio. Troppo aglio.
Marco Emilio Boga è nato a Tradate il 27 ottobre del 1990. Laureato in Scienze della comunicazione presso l’Università degli Studi dell’Insubria, ha pubblicato cinque libri di poesia e ha portato a termine il percorso di alta formazione ‘Over 30’, college scrivere con Giorgio Vasta, presso la Scuola Holden di Torino. Social Media Manager, ha scelto di fuggire tra le montagne cambiando vita e lavoro.